domenica 6 marzo 2016

La macchina: croce e delizia


Eccoci qui, giunti alla fine (anche se non ci giurerei poiché  curare questo blog è stato un piacere inaspettato ) di questo breve percorso in cui ho cercato di cogliere la presenza del concetto di “macchina” in immagini, musica e libri.

Ma adesso è giunta l’ora di dire la mia e per farlo voglio partire dal titolo del mio blog che richiama un passo della celeberrima opera pirandelliana “Quaderni di Serafino Gubbio Operatore”.
Questo romanzo del 1916 narra le vicende di un operatore cinematografico attraverso le quali l’autore porta avanti una convinta polemica contro la macchina, vista come mezzo che  mortifica la vita e persino la natura. Per lui la macchina distrugge i sentimenti dell’uomo, conducendolo ad una progressiva perdita di valori.

Sono parzialmente d’accordo con questa visione in quanto ritengo che la macchina sia la principale responsabile dell’alienazione.
È un po’ come se vedessimo la nostra vita in una macchina (rifletteteci un secondo, tutto ciò che ci appartiene è lì).

Tuttavia non sono d’accordo nel demonizzarla totalmente:  non dimentichiamo che essa può seriamente migliorare la qualità della vita rendendo più facili e veloci molte azioni (da quelle quotidiane a quelle più inimmaginabili).
Un esempio banalissimo ma a mio avviso efficace: la macchina del pane. 
Provate a regalarla alle vostre nonne: penso che una su dieci ne farebbe uso, un po’ per tradizione un po’ perché a loro piace dedicare del tempo a questi lavori manuali. 
Pensate invece di regalarla a una donna in carriera e madre di due figli: troverà in essa uno spiraglio di luce non indifferente.
La macchina infatti è una fedele alleata del tempo e della frenesia odierna.

Credo dunque che tutto stia nel cercare un giusto compromesso tra l’uso e l’abuso. 
Da qui il titolo di questo post.

 Macchina: croce e delizia.

venerdì 26 febbraio 2016

La "Matrice" di Gibson

Avete presente la sensazione che si prova a guardare un film di azione?
Immagino di si.

Bene. Provate adesso a vederne quattro contemporaneamente: un bell'intreccio, eh?

Questo è proprio quello che fa Gibson nel suo capolavoro "Monna Lisa Cyberpunk". Quattro storie   ambientate in un futuro prossimo e decadente, dove la macchina (intesa in senso quasi degradante) fa da padrona e quattro personaggi cardine della narrazione: Kumiko -figlia di un boss mafioso-, la prostituta Mona, Angie - figlia di un ingegnere genetico- e l'ex carcerato Slick.

Ciò che li unisce è la Matrice, la pura essenza del cyberspazio, la Macchina virtuale di tutta la narrazione e alla quale è possibile accedervi per scambiare o reperire informazioni che si riveleranno vitali per i protagonisti.
A mio avviso è la quintessenza del romanzo.

Il collegamento alla Matrice è ben spiegato proprio dall'autore:

“Molto tempo prima, in Arizona, suo padre l’aveva avvertita di non collegarsi. Le aveva detto che non ne aveva bisogno. Ed era così, infatti, perché aveva sognato il ciberspazio, come se le linee fluorescenti della griglia della matrice la stessero aspettando dietro le palpebre. Non c’è luogo, là, dicevano ai bambini quando spiegavano il ciberspazio [...]
Angie si piegò in avanti e prese la serie di elettrodi simstim, scrollandoli per liberare i cavi dall’intrico. Nessun luogo, laggiù.
Allargò la fascetta elastica e adattò gli elettrodi ai lati delle tempie; era uno dei gesti più comuni del mondo, ma lei lo faceva di rado. Premette il pulsante di controllo della batteria dell’OnoSendai. Comparve un segnale verde. Poteva iniziare. 
Premette l’interruttore, e la stanza sparì dietro un muro incolore di statica sensoriale. Nel cervello fluì un torrente di rumore bianco.
Premette un secondo pulsante, a caso, e venne catapultata oltre il muro statico, in un vasto spazio informe, il vuoto irreale del ciberspazio. Intorno a lei, le linee luminose della griglia della matrice formavano come una gabbia infinita.


“«Adesso ti faccio vedere.» Quando tornò al tavolino bianco della colazione portava un basso vassoio nero e quadrato con alcuni piccoli comandi allineati su un lato. L’appoggiò sul tavolo e toccò uno dei piccoli interruttori. Un oloschermo cubico apparve sopra il proiettore: erano le linee fluorescenti della griglia del ciberspazio allineate con le forme luminose, allo stesso tempo semplici e complesse, che rappresentavano vasti accumuli di dati memorizzati. «Quelli sono tutti i pezzi grossi standard. Le corporazioni. Un paesaggio stabile, si direbbe. Ogni tanto una di loro sviluppa un annesso, oppure si assiste a un rilevamento, e due si fondono insieme. Ma è improbabile vederne una completamente nuova, almeno su questa scala. All’inizio sono piccole, poi crescono, si fondono con altre piccole formazioni…» Si allungò e toccò un altro comando. «Circa quattro ore fa» e una liscia colonna bianca verticale apparve al centro esatto dello schermo «è apparsa questa. O ci è entrata.» I cubi le sfere, le piramidi colorate si erano immediatamente riposizionate in modo da lasciare spazio al cilindro bianco, le rimpiccioliva completamente: la sua estremità superiore era tagliata fuori dal limite superiore dello schermo. «Quel bastardo è il più grosso di tutti» disse Tick, con una certa soddisfazione «e nessuno sa che cos’è o a chi appartiene.»”


A questa Matrice viene poi associtato il mito de " Il Giorno Che Cambiò", citato in qualche piccolo intervento in cui per un attimo mi è parso di cogliere la caducità di questa realtà virtuale in contrasto con la ripetuta e riconosciuta supremazia a cui essa è ancorata:

“«Si incontra questo mito generalmente in due versioni. Secondo la prima, il ciberspazio è abitato, o forse visitato periodicamente, da entità le cui caratteristiche corrispondono alla forma mitica primaria del “popolo nascosto”. La seconda implica un assunto di onniscienza, onnipotenza e incomprensibilità della matrice stessa.»
«Che la matrice è Dio?»
«Si potrebbe dire così, anche se sarebbe più preciso, nei termini della forma mitica, dire che la matrice “ha” un Dio, poiché si suppone che l’onniscienza e l’onnipotenza di questo essere siano limitate alla matrice.»
«Se ha dei limiti, non è onnipotente.»
«Esattamente. Nota che il mito non parla d’immortalità, come succede di solito nel caso di sistemi di credenze che postulano un essere supremo, almeno nel caso della tua particolare cultura. Il ciberspazio esiste, nei limiti in cui si può dire che esiste, in virtù dell’opera umana.»” 


“«L’aleph è un’approssimazione della matrice» le spiegò. «Una specie di modello del ciberspazio.»
«Sì, questo lo so» lo interruppe lei, e si rivolse a Bobby. «Allora? Avevi promesso che mi avresti spiegato il perché del Giorno Che Cambiò.»
Finn rise, un suono strano. «Non c’è un perché, signora. C’è più che altro un cosa. Ricordi che una volta Brigitte ha detto che c’era un altro? Be’, quello è il cosa, e il cosa è anche il perché.»
«Sì, ricordo. Lei ha detto che alla fine, quando la matrice ha conosciuto se stessa, c’è stato “l’altro”.»
«E’ là che stiamo andando» disse Bobby, mettendole un braccio intorno alle spalle. «Non è lontano, ma è…»
«Diverso» disse Finn. «Veramente diverso.»
«Ma cos’è?»
«Vedi» iniziò Colin scostando il ciuffo dalla fronte con un gesto da scolaro dei tempi andati «quando la matrice ha raggiunto la coscienza, si è resa conto che esisteva un’altra matrice, un’altra coscienza.» «Non capisco» disse lei. «Se il ciberspazio consiste nella somma totale dei dati nel sistema umano…»
«Già» la interruppe il Finn immettendosi nella lunga superstrada deserta «ma nessuno sta dicendo che è umano…»”









Copertine dal mondo: Monna Lisa Cyberpunk













venerdì 19 febbraio 2016

Ancora uno spot pubblicitario...




Passi di William Gibson, “Monna Lisa Cyberpunk”


“Il fantasma era un dono d’addio di suo padre, portatole da un segretario vestito di nero nella sala delle partenze di Narita. Durante le prime due ore di volo verso Londra, restò come dimenticato nella sua borsa. Era un oggetto liscio e scuro di forma allungata, un lato portava impresso l’onnipresente logo della Maas-Neotek, l’altro, invece, era curvo, per adattarsi al palmo della mano.”

“Ma Kumiko avrebbe visto molte volte le gru, dopo, in sogno; erano ori“origami, oggetti geometrici ricavati da fogli di neon piegati, uccelli candidi e rigidi che volavano alti sul paesaggio lunare della follia di sua madre”

“Lei non aveva risposto, era corsa via a nascondersi in un posto che solo lei conosceva, il labirinto della più piccola delle macchine pulitrici. Ticchettarono intorno a lei tutta la notte, illuminandola a intervalli regolari con i laser rosa”

“Mentre l’hovercraft avanzava verso la Fabbrica, Slick udì Little Bird allontanarsi nell’ombra, raschiando con la suola dei pesanti stivali la polvere e i trucioli di metallo.
Vide, attraverso una polverosa lastra di vetro superstite, il veicolo che si abbassava sul cuscino d’aria e si fermava di fronte alla Fabbrica, scricchiolando ed emettendo vapore.”

“L’uomo aveva una serie di elettrodi attaccati con cerotti sulla fronte; un cavo nero gli era stato inserito in una presa dietro l’orecchio sinistro, e pendeva lungo il bordo della barella. Slick lo seguì con lo sguardo, fino a incontrare la pesante apparecchiatura grigia montata sulla struttura. Un simstim? Non ne aveva l’aspetto. Una specie di deck ciberspazio?”

“«Non so che cosa fare.»
«Volta l’unità.»
«Cosa?»
«Sul retro. C’è un incavo a forma di mezzaluna. Infila l’unghia del pollice, e gira.»
Si aprì uno sportellino. Microinterruttori.
«Punta l’indicatore A/B su B. Usa qualcosa di sottile, di appuntito, ma non una penna a sfera.»
«Una che?»
«Una penna. Per via dell’inchiostro e della polvere; rovina i circuiti. Uno stuzzicadenti sarebbe l’ideale. Così è programmato per registrare automaticamente al suono della voce.»”



“Restò disteso pensando al problema della sega circolare del Giudice. Il polso tendeva a deformarsi ogni volta che si cercava di tagliare qualcosa di più spesso del cartone. Nel progetto originale Slick aveva previsto che le dita fossero articolate ciascuna terminante con una microsega elettrica, ma per varie ragioni aveva dovuto rinunciarvi. L’elettricità non era soddisfacente. Non era sufficientemente fisica. L’aria era quello che ci voleva, grandi serbatoi d’aria compressa, oppure un motore a combustione interna se fosse stato possibile trovare i pezzi”







La macchina negli spot pubblicitari







"ταξις νομος"

Cos'è la tassonomia e soprattutto a cosa possiamo applicare uno schema tassonomico?

Con il termine tassonomia, la cui radice etimologica risale al greco ( taxis, ordinamento e nomos,regola), si intende lo studio teorico della classificazione. Più precisamente, il termine "taxis"  è impiegato genericamente per designare un raggruppamento sistematico di qualsiasi tipologia ed è per questo che gli schemi tassonomici possono essere adoperati per descrivere TUTTO, sia che si tratti di concetti sia che si tratti di oggetti, luoghi od eventi.

Il mio campo di ricerca è già stato reso noto nei post precedenti, per cui passerò a definire uno schema tassonomico di un rover per esplorazione spaziale.

                                               (Mars Science Laboratory Rover "Curiosity")